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Tenuta Santa Caterina
VIAGGIO ALCHEMICO

di Anna Berra  

Sul treno che mi sta portando alla Tenuta Santa Caterina a Grazzano Badoglio, paesino del Monferrato a me sconosciuto, mi chiedo come saranno questi due giorni lontani dalla città. La stazione delle corriere, deserta, mi procura un lieve scoramento: perché sono qui? Dopo un’ora d’attesa arriva la socievolezza dell’autista ad allietarmi durante il viaggio dondolante, ed eccomi nella piazzetta del Municipio di Grazzano. La ragazza che mi viene a prendere è dinamica e sorridente. Mi mostra la stanza, la suite Arlandino, e sono all’istante conquistata: il letto con baldacchino da sceicco, i comodini sorretti dai treppiedi che si usavano una volta per gli apparecchi fotografici, i tessuti preziosi, e una fragranza di legno e bucato che ti rigenera. Apro la portafinestra per affacciarmi sul paesaggio, il sole mi scalda e le mie riserve si sono sciolte.
Le ore scivolano con frizzante piacevolezza, e arriva uno dei momenti più interessanti, la degustazione dei vini della Tenuta. Chiudo gli occhi e mi lascio condurre dalla voce profonda del mio cicerone: “Il vino è etico”. Appena respiro il profumo del primo calice, mi esultano i sensi. Mi ritrovo immersa in un giardino misterioso, i miei passi premono una terra bionda e friabile, che canta: onde marine la attraversano lasciando affiorare spirali di conchiglie. Il Monferrato dalle acque nascoste. I pali in legno sostengono le viti ancora sonnacchiose in questa coda d’inverno già gonfia di primavera. Passeggio tra i vigneti, ognuno col suo nome, e mentre sfioro i tralci con le dita mi accompagnano canti di ghiandaie, ghirigori di gazze, passeri che scherzano fra loro. La fioritura del melo è una nuvola di latte tra i primi vagiti del verde. Il vento ondeggia le cime dei giovani cipressi, mentre le macchie di rosmarino che colano dai muri esplodono di fiorellini blu. Dai cespugli di euforbie le campanelle slanciano il loro giallo agli insetti golosi. Guizzi di lucertole in cerca di sole crocchiano le foglie secche, l’abbaiare di un cane, e da lontano affiorano le vette imbellettate di ghiaccio. Dall’alto il paesaggio ha un’armonia quasi rinascimentale, con le vigne che disegnano rombi e cerchi mentre i morbidi pendii s’intrecciano con assaggi di bosco. Qua e là pini marittimi, ulivi neonati, promesse di fiori che verranno, sbuffi di lavande, iris che a breve coloreranno l’aria del loro fragile profumo. Un Giardino contro la Vanitas umana, un giardino bambino, che grazie a mani tenaci e devote si trasformerà per le generazioni future in magnifico cigno, ma anche un luogo segreto, raggiungibile solo seguendo la stradina ghiaiosa che dal terrazzo del Relais scende alle vigne. Ovunque scorre acqua ctonia, che si raccoglie al fondo di pozzi protetti da grate forzute. Mi volto e una donna attraente vestita con una tunica verde alza una mano in segno di saluto: è Santa Caterina di Alessandria d’Egitto, e l’affresco non mostra i suoi secoli.
La calda voce mi riporta sotto la volta di mattoni rosati del Relais: “Il vino è cordiale”.
Lascio che il liquido sanguigno mi baci la lingua, lo trattengo un momento in bocca prima di farlo scorrere denso in gola. Ancora una festa, un esaltato stupore. Mi ritrovo a un simposio di filosofi greci a parlare con Socrate del munifico Eros, e nel piacere dei sensi mi tuffo come Alice nella tana del bianconiglio, sbucando sotto la volta di un’altissima sala quadrata, dove sculture di teste maschili e femminili convergono i loro sguardi cardinali su di me. Echeggiano fra le mura giuramenti massonici, poi da uno spiraglio vicino al soffitto una luce mi invita a salire, e i miei piedi si ritrovano sul pavimento umido di una cantina profumata dalla muffa, dove gli archi si accavallano anarchici a tutte le altezze, a disegnare labirinti mansueti come nei quadri di Escher. “Nella stratificazione dei muri si legge la Storia” suggerisce il mio cicerone. Infatti mi sembra di percepire lo spirito di Aleramo, il sovrano medievale del Monferrato. Di fronte alle imponenti botti di legno ambrato, troppo grandi per passare attraverso le porte, immagino le abili mani del maestro d’ascia che piegano i listelli sul fuoco fino a creare questi pachidermi lignei, dentro cui riposa e si trasforma il pregiato succo di Bacco. Passo una mano sul legno: ascolta: l’alito possente del dio soffia su di noi.
E scendiamo, come in un fantastico viaggio ipogeo, a diciassette metri sotto il suolo, fino a uno spazio dalla volta così perfettamente sferica da sembrare una cupola. Il suono delle parole si fa ovattato, l’aria è satura di sale, i muri sudano una polvere bianca che si sfarina sotto le dita. Ancora acqua, gorgoglii che scorrono sopra la nostra testa, sembrano risa di cortigiane in festa. Alle pareti più di settemila bottiglie di vino, sdraiate come antichi romani, scherzano tra loro di tre in tre. Un raffinato bagno turco di corpi umidi che evoca settecenteschi movimenti libertini, il secolo in cui è nato questo profondo scrigno: la Cantina Storica. E ancora una volta la voce mi richiama dal mio viaggio fantastico: “Il vino è neutro, né femminile né maschile”.
Finita la degustazione mi ritrovo sola in terrazza a sorseggiare non più nettare d’uva ma il maestoso silenzio della campagna che si allarga nella sera. Assaporo il cambiamento della luce nel cielo, che da azzurra trascolora nell’ora blu, quel momento incantato che avvolge persone e cose in un’atmosfera sognante. Tutto è come sospeso tra buio e luce. Il grande alloro che fino a poco fa elargiva la sua ombra è diventato del color malva che tanto piaceva agli impressionisti. Sui pendii delle colline si disegnano corpi allungati e braccia che si tendono verso l’oscurità. Come per magia ogni cosa in quest’ora appare possibile, la Natura sembra per un istante trattenere il respiro, e di colpo è notte.
Rientro nel salotto a bere the verde e sfogliare il volume sui labirinti che ho preso dalla selezionata e poliglotta biblioteca del padrone di casa, riconciliandomi con la bellezza della solitudine. Prima di andare in paese per la cena salgo in camera a concedermi il getto generoso della doccia, che tutte le stanchezze si porta via.
La notte avvia la sua orchestra di suoni misteriosi, un frullare di ali nei cespugli, campane in colloquio, usci che si chiudono. Quando torno al Relais due gatti indaffarati in un muto dialogo non si accorgono di me che li spio. Ma al primo passo verso di loro uno scappa fulmineo mentre l’altro, il rosso, incuriosito dal mio miagolio di richiamo si ferma dietro la bassa siepe lasciando affiorare soltanto il verde degli occhi e la punta delle orecchie. Ci guardiamo immobili per alcuni secondi, poi di colpo punta il musetto verso l’alto e sparisce fulmineo nel buio. Nel cielo è apparsa una costellazione strana, un unicorno alato con una foglia di vite al fondo della coda. Monferrato meraviglioso.
Al mattino dalle luminose vetrate della sala colazioni entra a sedersi al mio ricco tavolo il paesaggio monferrino. Mi sa che è attratto anche lui dalla cura dei dettagli: cibi sani e naturali, bevande di ogni sorta, torte create con amore, e sotto i denti il pane tostato cosparso di marmellata di arance colte nel giardino dalla cuoca, una donna dagli occhi danzanti che mi racconta degli ospiti passati. E questa delicatezza amica mi fa sentire definitivamente a casa.
Il momento della partenza è obbligatorio ma, a questo punto, assai difficile. Mentre dal treno guardo sfilare la campagna ho negli occhi, nel naso, sulla lingua tutta la dolcezza di questo tempo ritagliato al quotidiano. Il Genius loci della Tenuta Santa Caterina mi accompagna, e io mi sento diversa. La trasformazione è avvenuta: Solve et Coagula.